Molti imprenditori e professionisti credono che il marketing virale sia la chiave per il successo immediato, pensando che basti un video divertente o un post provocatorio per ottenere visibilità senza sforzo.
Percepiscono l’essere virali come obiettivo ultimo della loro strategia di comunicazione.
La realtà, come sempre, è però un po’ più complicata di quello che si crede.
La viralità non è una strategia pianificabile e raramente garantisce risultati concreti. Più che un metodo, è un colpo di fortuna. Non esiste una formula magica, e anche quando una campagna decolla, spesso i benefici per il brand sono limitati.
Vediamo perché il marketing virale, nella maggior parte dei casi, non è la soluzione giusta per la maggior parte delle aziende.
La viralità non si può controllare
Il successo virale dipende da fattori imprevedibili e fuori dal controllo di chi lancia la campagna:
- Algoritmo dei social media: le piattaforme cambiano continuamente le regole del gioco. Quello che funziona oggi potrebbe essere penalizzato domani, senza preavviso. Un video che sfrutta un determinato formato o trend può essere favorito dall’algoritmo un mese e ignorato quello dopo.
- Contesto culturale: una campagna può diventare virale solo se tocca un nervo scoperto della società in un preciso istante. Pensa per esempio ai meme: nascono e diventano obsoleti nel giro di giorni. E se arrivi in ritardo, il tuo contenuto sembrerà già vecchio.
- Reazione degli utenti: nessuno può prevedere come reagirà il pubblico. Un messaggio pensato per essere divertente può essere frainteso, un’immagine ironica può scatenare polemiche. Senza un brand affermato o un budget enorme, è quasi impossibile guidare queste dinamiche.
Senza un brand già affermato o un budget importante, è quindi quasi impossibile influenzare a proprio favore questi elementi.
Pensa alle campagne virali che hai visto negli ultimi anni.
Quante erano di brand sconosciuti? Quante sono partite da zero, senza un pubblico già consolidato o un budget mostruoso?
Esatto, quasi nessuna.
Risultati temporanei, nessun vantaggio a lungo termine
Ma, anche se un contenuto effettivamente riesce a decollare, i benefici sono spesso brevi e di poco conto. Perché?
- Il pubblico si interessa al contenuto, ma non al brand: le persone, così, condividono un video perché è divertente, non perché apprezzano l’azienda. Se non c’è un legame chiaro con il tuo prodotto, la viralità non si traduce in vendite.
- Un picco di attenzione non costruisce un rapporto duraturo con i clienti. Ecco che quindi, senza una strategia solida alle spalle, il traffico si dissolve rapidamente.
La viralità è effimera. Se non hai un piano e una strategia solidi alle spalle, come un sito ottimizzato, un funnel di vendita, un’offerta chiara, tutta quella visibilità sarà solo un fuoco di paglia.
Diventare virali ma per i motivi sbagliati
“Ma il video ha fatto 10 milioni di visualizzazioni!”
Per attirare attenzione, alcune campagne virali puntano su humor, shock value o trend del momento. Ma non è detto che quello che ha funzionato per un brand funzioni anche per il tuo.
Ecco alcuni dei motivi:
- Se il contenuto non è allineato con i valori del brand, può creare confusione. E si chiederanno “Ma quindi cosa vendete?”
- Si rischia di attirare pubblico sbagliato, interessato solo al contenuto, non al prodotto.
- La viralità fine a sé stessa non rafforza l’identità aziendale, anzi, rischia di rovinare la reputazione.
Esatto, ci sono stati casi, famosi, in cui
Il virale si ribalta: un’enorme attenzione negativa
Se un contenuto viene condiviso milioni di volte ma per i motivi sbagliati, l’effetto può essere devastante. Le aziende che cercano l’effetto grandioso senza considerare la sensibilità del contesto o il rischio di fraintendimenti, finiscono per subire gravi danni reputazionali.
Ecco alcuni casi in cui il marketing virale si è rivelato un boomerang.
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McDonald’s e #McDStories
McDonald’s lanciò l’hashtag #McDStories con le migliori intenzioni, sperando di raccogliere aneddoti sui momenti felici vissuti nei suoi ristoranti. Quella che sembrava un’ottima idea di user-generated content si rivelò invece un boomerang. Gli utenti trasformarono l’hashtag in una piattaforma per denunce: panini scadenti, casi di intossicazione alimentare e proteste sulle condizioni di lavoro nel settore dei fast food.
In poche ore, #McDStories divenne un trending topic e un caso di campagna social mal gestita. McDonald’s corse ai ripari sospendendo l’iniziativa dopo appena due ore, ma era troppo tardi. I tweet critici rimasero online, gli screenshot continuarono a diffondersi, e la lezione fu chiara: sui social media non si può controllare la narrazione.
L’episodio rivelò come la catena avesse sottovalutato due elementi cruciali: il risentimento latente verso l’industria dei fast food e l’imprevedibilità delle conversazioni online.
Quella che doveva essere una celebrazione del brand si capovolse, dimostrando che aprire un dialogo con il pubblico significa esporsi a ogni tipo di feedback, non solo a quelli positivi. Una lezione costosa ma fondamentale per chiunque voglia utilizzare seriamente con il marketing virale.
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Pepsi e Kendall Jenner
Nel 2017, Pepsi realizzò uno spot pubblicitario con Kendall Jenner che avrebbe dovuto celebrare l’impegno sociale delle nuove generazioni. La pubblicità mostrava la modella lasciare un servizio fotografico per unirsi a una protesta, per poi risolvere magicamente le tensioni offrendo una lattina di Pepsi a un poliziotto, scatenando il giubilo generale. L’intenzione sembrava nobilissima: associare il brand a valori come unità e cambiamento sociale.
Ma il risultato fu diametralmente opposto. Il pubblico accusò Pepsi di aver banalizzato i veri movimenti di protesta, riducendo complesse battaglie sociali a una pacificazione istantanea ottenuta con una bibita. La reazione fu immediata e durissima. Lo spot diventò virale, ma come esempio di comunicazione fuori luogo.
Tra accuse di opportunismo e una valanga di meme satirici, Pepsi si vide costretta a ritirare la campagna in meno di 24 ore e a pubbliche scuse. Questo episodio rimane un monito: neppure i grandi brand, con budget molto alti e star internazionali, sono immuni dai rischi di una comunicazione superficiale.
Quando si toccano temi sociali sensibili, la differenza tra successo e disastro sta nella capacità di comprendere davvero il contesto culturale. La viralità può amplificare sia i meriti che gli errori, e in questo caso Pepsi imparò a proprie spese che alcuni messaggi, se non ponderati a fondo, possono costare più di quanto valgano.
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Build-A-Bear Workshop e la campagna “Pay Your Age”
La campagna “Pay Your Age” di Build-A-Bear Workshop rappresenta un classico esempio di come un’idea di marketing apparentemente vincente possa trasformarsi in un disastro operativo.
L’offerta, che consentiva ai clienti di pagare un peluche in base all’età del bambino, attirò una folla enorme e incontrollabile. Migliaia di famiglie si riversarono nei negozi, creando code interminabili e situazioni caotiche che videro molti punti vendita costretti a chiudere prematuramente le porte.
L’azienda si trovò obbligata a ritirare precipitosamente la promozione dopo poche ore, sostituendola con buoni sconto che tuttavia non bastarono a riparare il danno d’immagine.
Le critiche sui social media si moltiplicarono e la vicenda finì sui principali media internazionali, mentre l’azienda doveva fare i conti con perdite economiche non indifferenti. Questa esperienza evidenzia i rischi di una pianificazione insufficiente quando si lanciano iniziative ad alto potenziale virale.
La sottovalutazione della domanda, l’assenza di limiti all’affluenza e la mancanza di piani alternativi per gestire il sovraffollamento si rivelarono errori fatali. Il caso Build-A-Bear insegna che il successo di una campagna non risiede solo nella sua forza attrattiva, ma soprattutto nella capacità di prevedere e gestire le conseguenze pratiche.
Perché falliscono le campagne virali dei piccoli brand?
Le campagne di marketing virale possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio, soprattutto per le piccole imprese. Mentre i grandi brand hanno le risorse per assorbire un flop, per le realtà più modeste un errore può rivelarsi fatale.
Ma quali sono i principali fattori che portano al fallimento?
- Mancanza di ricerca: non studiare il target o ignorare il contesto culturale può trasformare un’iniziativa promettente in un disastro comunicativo;
- Sottovalutare la reazione del pubblico: anche un piccolo errore di valutazione può scatenare reazioni impreviste e dannose per la reputazione;
- Budget limitato: i piccoli brand raramente hanno risorse dedicate alla gestione delle crisi. Quando una campagna prende una brutta piega, spesso mancano gli strumenti e il personale per reagire tempestivamente ed efficacemente;
- Copiare trend senza adattarli: replicare strategie virali senza considerare le specificità del proprio business è rischioso. Ciò che funziona per un grande marchio potrebbe rivelarsi inappropriato o ingestibile per una piccola realtà.
Il marketing virale, sebbene accessibile, comporta rischi significativi. Mentre i grandi brand possono assorbire un insuccesso, per una piccola impresa le conseguenze possono essere irreparabili.
Meglio testare, pianificare crisi ed evitare toni controversi se non si è certi di poter gestire le possibili reazioni.
Prima di pensare al virale
Se vuoi davvero fare marketing efficace, e non semplicemente affidarti alla speranza che qualcosa “esploda” casualmente, è importante partire con le giuste fondamenta.
Ecco alcune domande da porti prima di lanciare qualsiasi campagna virale:
- Il tuo brand è già conosciuto? Il marketing virale da solo potrebbe non bastare. Le campagne virali funzionano meglio quando c’è già una base di riconoscibilità del brand che permette al messaggio di attecchire più facilmente.
- Hai chiaro chi sei ed è chiaro agli altri? Assicurati di avere ben definiti mission, vision e posizionamento… oltre ad averli comunicati con forza negli anni alla tua audience.
- Hai una strategia, oltre ai social? Il virale dovrebbe essere parte di un ecosistema più ampio. Email marketing, SEO, pubblicità a pagamento e altre attività devono lavorare in sinergia.
Morale della Favola?
Lascia perdere l’ossessione del “voglio diventare virale”.
Il marketing virale può essere una piacevole conseguenza di un lavoro ben fatto, ma non dovrebbe mai essere l’obiettivo principale. Se vuoi costruire un brand solido e duraturo, parti dalle basi: un’identità chiara, un pubblico ben definito e una strategia strutturata che guardi al lungo termine.
E se un tuo contenuto decolla e conquista la viralità? Fantastico!
Ma se non succede, pazienza. Perché il vero successo non si misura in like o condivisioni, ma in clienti soddisfatti, relazioni consolidate e risultati concreti per la tua attività.
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